Il bambino con il pigiama a righe

riflessioni dei figli del Gruppo Famiglia
L’infanzia è definita dai suoni, dagli odori e dalle immagini prima che sopraggiunga l’ora buia della ragione”.

E’ questa la frase con cui si apre il film che è stato protagonista delle nostre riflessioni: “Il bambino col pigiama a righe”.

Il film narra di un bambino (Bruno), vissuto durante la seconda guerra mondiale, figlio di un comandante tedesco, che, a causa del lavoro del padre ha dovuto lasciare la casa a Berlino e le sue amicizie per trasferirsi in campagna.
Appassionato di avventura ed esplorazione, durante una delle sue escursioni trova una “fattoria”, ma non si avvicina più di tanto perchè proibitogli dai genitori. Dopo si fa coraggio e si avvicina al recinto spinato. Qui incontra un bambino ebreo, della sua stessa età con un pigiama, di nome Shmut; solo in seguito capirà che quel pigiama non era un pigiama e quella fattoria non era una fattoria.
L’amicizia tra Shmut e Bruno spingerà quest’ultimo ad aiutare l’amico nella ricerca del padre “perso” nel campo di concentramento facendosi passare per uno dei deportati. Ma proprio in quel giorno Shmut faceva parte del gruppo degli ebrei che dovevano essere uccisi nella camera a gas e insieme a loro muore anche il bambino tedesco. Nella visione del film ci siamo soffermati ad analizzare i rapporti familiari.
Ci ha colpito in modo particolare l’ingenuità e la semplicità con la quale Bruno interpretava le malvagità create dal mondo degli adulti.
Ne sono esempio il fatto che il bambino dietro quella cattiveria rappresentata dalla divisa a righe, vedeva un semplice pigiama. Altri esempi di questa differente visione sono: la volontà di Bruno di creare un altalena per giocare trasformata dal soldato tedesco in un atto di sottomissione dell’ebreo; o il fatto che per gli adulti risultasse pericoloso anche solo giocare a pallone.
Il padre “comandante” cerca sempre di essere comprensivo con i figli: non alza mai la voce, non entra mai in contrasto con loro o meglio, non così tanto da creare delle rotture tra loro. Non rende mai testimonianza del mondo di guerra di cui era complice.
Ma questo modo di reagire del padre si ripercuote in qualche modo nei confronti dei figli? Soprattutto, le scelte che il padre compie pregiudicano la situazione di tutta la famiglia o solo la sua?
Nella discussione Luca ha fatto notare che comunque il bambino era all’oscuro di quello che faceva il padre: infatti, quando gli viene chiesto che lavoro facesse il padre, risponde: “lui deve rendere tutto migliore per tutti”.
In realtà,anche se Bruno era inconsapevole dell’orrore che avveniva al di fuori della sua villa, vede la sua vita fortemente influenzata dalle decisioni del padre: sia lui che sua sorella avevano completamente abbandonato la loro vita precedente, le loro amicizie: Bruno cade nella noia e nella monotonia (infatti quando il padre gli domanda che cosa avrebbe fatto durante la giornata, lui risponde: ” quello che ho fatto ieri… ovvero quello che ho fatto l’altro ieri); la sorella di Bruno, invece, brucia la sua adolescenza, accantonando la bambole con cui giocava, per far posto alla propaganda nazi-fascista.
Le scelte quotidiane del padre, legate al suo lavoro, si ripercuotono sistematicamente sulla famiglia. Filippo attraverso un proverbio popolare; sottolinea che gli atteggiamenti dei genitori condizionano il modo di essere dei figli: si dice infatti “Tale padre tale figlio”.
In conclusione, abbiamo toccato con mano come l’ambiente famigliare sia un vero e proprio “laboratorio di pace”. La famiglia di Bruno era la netta contrapposizione rispetto a questo concetto. I genitori anche se inconsapevolmente,con i loro gesti quotidiani, con il modo con cui interagiscono con i figli, sono determinanti nella costruzione di una cultura di pace che, come sottolinea il regista del film, deve essere edificata durante l’età dell’infanzia attraverso “suoni, odori e immagini”.

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