Il dunque

di don Totò Tundo
Articolo pubblicato sul libretto per i festeggiamenti 2014 di San Sebastiano Martire, patrono di Racale

È troppo facile, o forse semplicemente presuntuoso, andare subito al “dunque” e, citando uno dei tanti luoghi comuni, pretendere di dare una risposta che risolva, una volta per tutte, i problemi e gli affanni di ogni giorno.

Ma leggiamo il Vangelo prima:
“Non giudicate e non sarete giudicati; … 
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello 
e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? …
Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio 
e allora ci vedrai bene 
per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.” (Mt 7, 1.3.5).
Impariamo che, per il cristiano, l’incontro con il fratello non può fondarsi sul giudizio. È necessario trovare modi nuovi per relazionarsi: l’ascolto, per esempio, la capacità, cioè, di accogliere la parola dell’altro in silenzio e di comprenderla, al di là della determinazione, da maturare in seguito, di condividerla o di prenderne le distanze. E il confronto non può essere tanto orientato alla valutazione di quello che l’altro pensa, magari per evidenziarne le falle o le contraddizioni, ma deve mirare all’arricchimento spirituale degli interlocutori, cioè a porre un altro insostituibile pezzo in quel meraviglioso puzzle che è la nostra esperienza di vita.
Spesso, magari con la scusa di essere responsabili di un gruppo, o, più semplicemente, padri e madri, siamo sbilanciati nel curare e correggere gli altri. Forse, sarebbe più opportuno prestar loro attenzione e, con un coraggioso itinerario di conversione, restituire luce ai nostri occhi per poter vedere la bellezza, la grandezza del fratello che incontriamo per strada, per poter cogliere sul suo volto le mille silenziose domande che affollano la mente ed intasano l’anima.

E pure non possiamo fermarci alla verità che abbiamo sotto gli occhi, quando arriviamo al “dunque”, perché dobbiamo imparare a leggere il Vangelo anche dopo:
“Chiedete e vi sarà dato … 
perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, 
e a chi bussa sarà aperto. … 
Il Padre vostro che è nei cieli 
darà cose buone a quelli che gliele chiedono!” (Mt 7, 7a.8.11b).
È bello, alla luce di questa parola, riscoprirci creature, probabilmente fragili, povere, ma che possono aver tutto perché hanno un Padre nei cieli. Sapere che Dio ci raggiunge con la sua provvidenza e a noi che chiediamo dona se stesso; a noi che siamo in cerca di senso si rivela come verità, a noi che vediamo sbarrato il nostro cammino si propone come strada nuova. E non subordina i suoi doni alle nostre buone opere! Gesù non dice “chiedete e vi sarà dato ciò che meritate”, ma come accade nell’esperienza di ogni genitore, non dà uno scorpione o una pietra, lui dona solo “cose buone” al figlio, anche se ha sbagliato, anche se si è allontanato da casa sbattendo alle sue spalle quella porta alla quale ora bussa, trepidante, umilmente!
Specialmente, come suggerisce l’evangelista Luca nel passo parallelo, il Padre dona, a quelli che glielo chiedono, lo Spirito Santo che riscalda il cuore, libera la mente e illumina il volto. Lo Spirito che ci guida nel discernimento per poter ben ponderare ogni cosa prima di scegliere il meglio, ciò che è buono e che vale, e di tralasciare ciò che è inconsistente e fuorviante.
Senza questa luce, difficilmente riusciremo a vedere il senso delle nostre convinzioni e prima o poi siamo assaliti dal dubbio del “si, ma in fondo in fondo che cos’è? …”, “che cos’è l’amore, la bellezza, la cultura, l’arte, il successo?”. Nella preghiera scopriamo con gioia che tutto, ciò che siamo e quello che abbiamo, è dono di un Padre buono che dal cielo non cessa di vegliare a fianco ai suoi figli.

Ma problema si pone tra il “prima” e il “dopo”, quando si arriva al “dunque”, appunto, perché è là che in definitiva si gioca la nostra intelligenza, la nostra prudenza e saggezza.

Auguro a tutti buona festa patronale.

Sac. Totò Tundo

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